Neanche a Guantanamo si è mai vista una nave da guerra ormeggiare per far sbarcare sedici esseri umani. E dire che lì, per lo meno, vengono detenuti presunti pericolosi terroristi internazionali. Ma nemmeno la fulvida immaginazione degli 007 a stelle e strisce sarebbe arrivata a tanto.
Il governo britannico aveva allestito una nave per “ospitare” i migranti salvo poi accorgersi che era una pessima idea e destinò l’unità navale ad altri scopi. Loro, i geni del Foreign Office, avevano anche pensato di deportare i poveri malcapitati in Ruanda, operazione che avrebbe fatto impallidire le scarne strutture carcerarie meloniane di Shengjin. Ma anche in questo caso non se n’è fatto nulla. La Commissione europea da parte sua fece, ormai anni or sono, un accordo con Recep Tayyip Erdogan, noto pacifista democratico turco (sic), in base al quale si sarebbe occupato lui dei migranti che transitavano sul suo Paese per evitare che potessero proseguire il loro viaggio verso i Paesi comunitari. Miliardi di euro in cambio di un servizio di “accoglienza” e rimpatrio conto terzi.
In altri Paesi, le leggi sono state inasprite per limitare l’arrivo di migranti, con giustificazioni che spaziano dalla sicurezza nazionale alla protezione dell’occupazione locale. L’elenco delle nefandezze potrebbe continuare, come dimenticare il famigerato Memorandum con la Libia dell‘ineffabile ministro PD Marco Minniti. Ma fermiamoci qui. Quello che non si riesce a comprendere è come, esseri umani senzienti e con responsabilità evidentemente largamente maggiori delle loro capacità, possano arrivare a concepire storture come queste senza rendersi conto che così facendo non si avvicinano di un millimetro alla soluzione del problema.
Una risposta a questa domanda mi è arrivata seguendo il dibattito sulle elezioni americane. Un analista faceva notare come Donald Trump stia recuperando posizioni da quando, alcuni giorni fa, ha iniziato a parlare di deportazione degli stranieri senza regolare permesso di soggiorno. Deportazione, non rimpatrio, allontanamento, ricollocazione, deportazione. Una parola che dovrebbe far accapponare la pelle di qualsiasi persona con un briciolo di umanità, una parola invece che fa aumentare il consenso verso il politico che ne fa uso nei suoi comizi. L’arrivo di migranti in Europa e in altre parti del mondo ha sollevato dibattiti accesi, non solo sulle politiche di accoglienza, ma anche sui sentimenti e le ideologie che li accompagnano facendo emergere un razzismo di fondo, spesso sottinteso e manifestato attraverso pregiudizi e stereotipi, che gioca un ruolo significativo in questa materia. Non si può spiegare altrimenti il continuo utilizzo di questo argomento nelle campagne elettorali in ogni parte del mondo benestante, arroccato a difesa dei propri privilegi.
La rappresentazione che viene fatta dei migranti nei media è carica di stereotipi. Questi racconti tendono a descrivere i migranti come una minaccia per la sicurezza, l’economia e l’identità culturale del paese ospitante. Queste immagini, amplificate da alcuni gruppi politici e da piattaforme social, alimentano una narrazione che giustifica sentimenti di xenofobia e razzismo. La mancanza di una visione umana e complessa delle esperienze migratorie contribuisce a demonizzare intere comunità, riducendole a semplici statistiche o, peggio, a “problemi” da risolvere.La percezione pubblica riguardo ai migranti è spesso influenzata dalla paura e dalla disinformazione agitate ad arte. Le campagne di disinformazione fanno leva su emozioni primordiali, creando un clima di ostilità che rende difficile la costruzione di una società inclusiva.
Quello che però dobbiamo comprendere è che non si può sempre dare ad altri la responsabilità di questa situazione. L‘opinione pubblica ha una peso, un ruolo, una responsabilità civile che è bene venga di nuovo esercitata. Affrontare il razzismo di fondo nella problematica dell’arrivo di migranti richiede un impegno collettivo e una riconsiderazione delle nostre percezioni e dei nostri pregiudizi. Non ci si può sempre nascondere dietro la disinformazione e la propaganda, ognuno di noi singolarmente e insieme come comunità civile deve assumersi le proprie responsabilità. Il razzismo sarà anche alimentato in maniera indotta ma antidoti ce ne sono, la partecipazione, la scelta delle fonti di informazione, la ricerca di letture che siano obiettive non sono pratiche difficili da attuare. Sarebbe anche il tempo di dire basta a questa barbarie cominciando per una volta da noi invece di chiedere ad altri di toglierci l‘impiccio. Non ci sono più alibi, sia su questo argomento che su quello altrettanto drammatico della guerra, non possiamo più girarci dall‘altra parte, o noi prendiamo in mano la nostra vita o sarà qualcun altro, per interessi che non sono i nostri, a dettare l‘agenda del nostro futuro.
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